Stefano Verri

2006

L’UNIVERSO CATTIVO
IL MO(N)DO IN CUI NESSUNO VORREBBE MAI VIVERE

«la rabbia è il mondo d’Inferno» Nichiren Daishonin, monaco buddista del XIII sec.

Il soggetto di questo lavoro è la rappresentazione del male, non inteso come rappresentazione mitica o fantastica né tanto meno come impersonificazione delle nefandezze umane. Il male di Diotallevi è semplice, interiore, atavico.
Il tratto lineare, quasi infantile da forma ad un universo contraddittorio, angosciante ma allo stesso tempo divertente. L’iconografia da fumetto se da una parte sdrammatizza le emozioni, non rendendole direttamente riconducibili alla nostra umanità, dall’altra accentua i gesti rendendoli quasi plateali.
Un universo lontano ma allo stesso tempo vicinissimo, in cui le forme si dispongono sulla tela diventando oggetti pronti ad essere utilizzati in un solitario mentale predisposto dall’artista per lo spettatore. Il gioco e l’ironia diventano quindi lo strumento per analizzare il mondo che ci circonda e riportarci su un piano sensibile e percettivo. L’era moderna è straordinaria. Le informazioni viaggiano in lungo ed in largo in un lampo. Siamo in grado di seguire in tempo reale un colpo di stato dall’altra parte del pianeta come fosse una manifestazione studentesca per le vie dietro casa. Veniamo informati sui morti ed i feriti in maniera precisa e puntuale, i numeri scorrono sugli schermi in tempo reale come i voli sui tabelloni degli aeroporti. Tutto è veloce, preciso all’assurdo, fino a risultare pressoché inutile. Ma il villaggio globale appiattisce, tutto rientra nell’ordine delle cose e poco, decisamente poco, smuove il sentimento della compassione: il dolore diventa abitudine, l’orrore normalità. Quello che Diotallevi cerca di trasmetterci è che infondo infondo il mondo non va proprio così, o almeno non dovrebbe. Come dicevo, ci riporta ad un piano sensibile e percettivo utilizzando un linguaggio infantile. Fugge la retorica ed entra in una dimensione diretta: inganna la mente per arrivare diritto al cuore. La pittura acquista in questo senso una funzione quasi catartica, che la rappresentazione si soffermi sull’Inferno come ce lo consegna la tradizione dantesca o invece sul più verisimile mondo di rabbia e violenza che quotidianamente ci passa davanti agli occhi poco importa: non c’è più nulla da abbellire, c’è solo da guardare, e tanto (in noi) da cambiare.